Oggi abbiamo il piacere di ospitare nella nostra intervista il Presidente Onorario di Crescere Insieme ODV Sabrina Marchetti.
L’associazione nasce nel 2004, fondata da un insieme di genitori uniti dal desiderio di scambiarsi idee e supporto nella loro missione educativa, quotidiana eppure unica, spinti dalla convinzione di contribuire attivamente allo sviluppo di un avvenire ricco di indipendenza e realizzazione sociale per individui affetti da Trisomia 21 o disabilità intellettive.
Crescere Insieme ODV si impegna nello sviluppo di iniziative educative e progetti destinati a differenti fasce d’età, coprendo aree come l’istruzione, l’indipendenza personale e residenziale, e l’inserimento lavorativo. Un altro importante ambito d’azione riguarda la sensibilizzazione sulle questioni legate alla disabilità.
In questa intervista con Sabrina Marchetti, scopriamo come l’associazione aiuta queste persone a sviluppare la loro autostima e autonomia, il ruolo cruciale delle famiglie nel percorso di accettazione e supporto, e le sfide nel mondo del lavoro, dove i pregiudizi possono ancora rappresentare un ostacolo significativo all’inclusione effettiva.
Qual è la preoccupazione più grande per un genitore che ha un figlio con Sindrome di Down?
«Dopo la salute, arriva il pensiero sul futuro: che ne sarà di lui/lei dopo la fine del percorso scolastico? Cosa accadrà dopo la nostra morte? Chi si occuperà di loro? L’aspirazione è che abbiano una vita autonoma, gratificante, ricca di esperienze ed amicizie».
Cosa succede dopo i 18 anni?
«A 18 anni, i genitori (e non tutti sono consapevoli) perdono la patria potestà sul figlio e la presa in carico dei nostri ragazzi non può essere esclusivamente affidata ai servizi sociali. Per questo c’è un’alternativa all’inabilitazione e all’interdizione: la nomina di un amministratore di sostegno (AdS) attraverso il giudice tutelare, grazie a una legge del 2004. Questo lascia autonomia di scelta rispetto alle decisioni che il figlio può prendere da solo e a quelle che invece devono essere prese dal genitore o dall’Amministratore nominato dal Giudice stesso. Ad esempio, si può stabilire che il ragazzo gestisca lo “spillatico” della sua pensione di accompagnamento, ma che sia il genitore ad amministrare il patrimonio e a prendere decisioni sulle questioni di salute. Il genitore dovrà poi rispondere di tali decisioni al giudice tutelare».
Se non si nomina un amministratore di sostegno cosa succede?
«In questo caso, sarà nominato d’ufficio dal Giudice su segnalazione dei servizi sociali che, in affiancamento all’amministratore, agiranno per garantire la sopravvivenza e le cure mediche necessarie. Come associazione abbiamo il compito di controllare che venga garantito il benessere della persona, ma anche di informare i genitori sulle opzioni disponibili, perché possano scegliere cosa fare in modo consapevole. Il tema del “dopo di noi” sarà al centro anche di un convegno che si terrà a maggio a Rimini, dove cercheremo di coinvolgere più famiglie possibili».
Cosa fa Crescere Insieme per favorire l’autonomia?
«A 12-13 anni partono i laboratori di socializzazione in appartamento. Sulla base del carattere e delle attitudini vengono formati gruppi di 4-5 ragazzi che prima si conoscono nei laboratori pomeridiani e poi provano gradualmente a convivere nel week end sotto la supervisione di un educatore. È un passaggio importante, in famiglia i nostri ragazzi sono al centro dell’attenzione e tendono a sviluppare una forte autostima: attraverso la convivenza con gli altri imparano a regolare le loro emozioni e ad aiutarsi a vicenda.
Di pari passo, portiamo avanti il percorso sul piano lavorativo attraverso stage formativi, tirocini, esperienze come Milleorti per la Città e Milleorti per il Turismo. Stiamo programmando di attivare anche un hub formativo per mettere alla prova i nostri ragazzi e verificarne le abilità, in modo da capire quali mansioni sono adatte a loro e indirizzarli al possibile posto occupazionale ideale».
Che ruolo ha la famiglia in questo percorso?
«Il Parent Training che da alcuni anni stiamo sperimentando è essenziale per avere una visione della persona a 360° ma è delicato: costringe la famiglia a fare i conti con le proprie illusioni e delusioni, implica l’accettazione dei limiti dei propri figli e la necessità, in alcuni casi, di valutare percorsi alternativi al lavoro. Ci sono famiglie che sovrastimano le capacità dei propri figli e altre che le sottovalutano completamente. In realtà, solo partendo dall’osservazione neutra della persona si può capire concretamente se l’inserimento nel mondo del lavoro e/o l’autonomia abitativa sono la strada giusta e in quale contesto».
Quali sono gli ostacoli più grandi all’inserimento nel mondo del lavoro?
«I pregiudizi. Non è realistico pensare che una persona non possa farcela solo perché ha la Sindrome di Down, ma nemmeno che i nostri ragazzi siano tutti simpatici e performanti. Ognuno ha le sue capacità, che devono essere valorizzate e affiancate.
In più, le assunzioni di persone con disabilità si rifanno alla legge n. 68/1999, che obbliga le aziende ad assumere disabili ma non le sostiene. Ad esempio, manca la possibilità di fare un passo indietro: per licenziare la persona devono esserci le giuste cause, ma come possono valere le stesse regole che valgono per i cosiddetti “normodotati”?
Bisognerebbe affrancarsi dall’idea che assumere una persona con disabilità sia fare un’opera di bene e cominciare a crederci davvero, ad esempio mettendo in conto percorsi di formazione ad hoc per le aziende».