Intervista di Ivan Messina “Supporthost: trasparenza e rapporto diretto con i clienti ciò che ci contraddistingue”

Intervista_Ivan Messina

Nel mondo dell’hosting, dominato da giganti dell’industria, emergere e farsi notare non è impresa facile. Tuttavia, ogni tanto, ci imbattiamo in storie di successo che sfidano le probabilità. Oggi abbiamo il piacere di conversare con Ivan Messina, fondatore di SupportHost.

Lanciata nel 2010, questa azienda si è distinta per il suo impegno nei confronti dell’etica, della sostenibilità e di un approccio centrato sul cliente. Oltre al suo straordinario percorso imprenditoriale, Ivan è anche un appassionato viaggiatore e nomade digitale, avendo esplorato oltre 70 paesi pur guidando la sua azienda verso il successo.

Seguici in questa intervista con un dialogo affascinante e scopriamo insieme la sua visione, le sue esperienze e i segreti dietro la crescita di SupportHost.

Benvenuto, Ivan Messina! Grazie per aver accettato questa intervista. Cominciamo con il tuo straordinario percorso imprenditoriale. Hai fondato SupportHost nel 2010, un’azienda di hosting in un mercato competitivo dominato da giganti. Come sei riuscito a costruire questa azienda di successo partendo da zero?

«Tutti abbiamo sentito la storia di quell’insetto che è troppo pesante ed ha le ali troppo piccole per volare, ma lui non lo sa e vola lo stesso. In linea di massima è quello che è successo, anche sapevo che non sarebbe stata un’impresa facile ritagliarsi uno spazio in un mercato dove l’azienda più piccola fattura milioni, non ci ho pensato più di tanto e ci ho provato lo stesso.

La mia idea era che una grande azienda non è in grado di seguire tutti i clienti in modo personale, quindi le persone vengono trattate come numeri, e questo di solito porta insoddisfazione.

Avevo anche notato delle pratiche comuni a mio avviso “scorrette” come ad esempio se vuoi disdire devi mandare una raccomandata o un fax almeno 60 giorni prima della scadenza. Per me queste pratiche, benché legali, sono scorrette dal momento che l’utente medio non legge i termini di servizio si trova a non sapere che doveva mandare la disdetta X tempo prima o che doveva comunicarla in un modo specifico.

Il focus di SupportHost fin dal primo giorno è stato quello di eliminare questi scogli. Fino a qualche anno conoscevo a memoria tutti i nomi dei clienti e quali siti avevano attivi, adesso purtroppo sarebbe impossibile, anche perché non mi occupo più del supporto, ma cerco comunque di mantenere un tocco personale, aiutando i clienti sui vari gruppi di settore su Facebook, dando dei consigli su messenger o al telefono. Qualche mese fa ho fatto una serie di interviste con alcuni clienti, dei video testimonial. La parte più bella è stata conoscersi e parlare del più e del meno prima di registrare il video.

Secondo me in linea generale, quando si riesce a distinguersi e fare qualcosa di diverso, sempre che questo diverso sia meglio, è facile farsi notare e dopo che si viene trovati dai primi clienti è facile che si alimenti un passaparola spontaneo».

SupportHost ha avuto un notevole successo nel mercato dell’hosting. Quali strategie di marketing e di business hai implementato per distinguerti dalla concorrenza e raggiungere il successo?

«Ammetto di aver provato tutte le strade possibili negli anni. Le ads nel mondo dell’hosting costano troppo per essere una scelta sensata, probabilmente a causa del fatto che ci sono i big che hanno dei budget che una piccola azienda non può nemmeno immaginarsi.

Ai tempi dei banner avevo provato a prendere alcuni spazi con pagamento mensile ma sempre con scarsi risultati. A mio avviso il vero successo è arrivato quando abbiamo raggiunto una massa critica di clienti soddisfatti che ci consigliano ai loro amici/colleghi. Posso affermare senza ombra di dubbio che il passaparola è stato il motore principale di SupportHost»

SupportHost è un’azienda di hosting etica e sostenibile (dato che vi appoggiate a partner certificati per assicurarvi che l’energia impiegata venga prodotta con zero emissioni), ma quali sono i valori fondamentali che guidano la tua azienda e il modo in cui gestisci le relazioni con i clienti e i dipendenti?

«Anche se siamo nel mondo online, non siamo robot. Le relazioni umane sono alla base di tutto.  Magari può sembrare che sia un’azienda che vende un servizio ad un’altra azienda, ma nella realtà è una persona o un gruppo di persone che fornisce un servizio ad un altro gruppo di persone.

Per me le relazioni sono alla base di tutto. Chi mi conosce sa che sono tutto tranne che formale, odio le formalità e vari salamelecchi, mi piace dare del tu, ridere scherzare e andare dritto al punto.

Il team è completamente in remoto, ad oggi non abbiamo organizzato eventi di team building come hanno fatto altre persone che conoscono, ma anche così siamo un team affiatato. Ci sentiamo tutti i giorni su slack. Ognuno ha la massima libertà di organizzare come vuole, ovviamente da remoto. Su slack abbiamo una stanza apposita per ridere tra di noi, raccontarci storie, prenderci in giro e condividere esperienze.

Mi piace mantenere la stessa linea anche coi clienti. Con i clienti con cui sono stato al telefono si potrebbe dire ci conosciamo. Mi piace raccontare di me e conoscere di più su di loro. Quest’anno ho partecipato al web marketing festival proprio per conoscere personalmente alcuni dei clienti, fare due risate insieme e raccontarci storie. 

E lavorando nel mondo del web ce ne sono tante di storie da condividere, di cose che sono successe quando si ha a che fare col cugino di turno per esempio. Una fonte inesauribile di risate».

La tua storia sarà di certo fonte di ispirazione per molti imprenditori. Oltre al successo dell’azienda, ciò che ti ha reso unico è il tuo stile di vita come nomade digitale. Dal 2011 hai viaggiato in oltre 70 paesi, continuando a lavorare da ovunque ti trovassi. Come sei riuscito a mantenere un equilibrio tra la tua passione per i viaggi e le responsabilità dell’imprenditorialità?

«In verità uno dei requisiti minimi di SupportHost era proprio quello di permettere sia a me che ai miei collaboratori di essere completamente location independente. Tutte le scelte fatte negli anni sono state fatte proprio con questo obbiettivo in mente. Non prenderei mai una decisione che possa limitare me o qualcuno del team a rimanere in un luogo specifico.

A differenza di tante realtà, sono proprio io a dire ai miei collaboratori di andare in un posto o in un altro, consigliando in base a quello che a loro piacerebbe fare e i posti che conosco. Ancora non sono riuscito a convincere nessuno di loro a girare come faccio io, ma confido di farcela prima o poi.

Mantenere un equilibrio tra lavoro e le altre 1000 distrazioni inizialmente non era facile, tra arrampicare, scoprire nuovi posti e fare diverse attività mentre ero in viaggio. Adesso ho una lista di cose da fare con delle priorità. È possibile che mi trovi in un paradiso, ma se devo finire una cosa non scollo gli occhi dallo schermo finché non ho finito.

Poi ci sono i momenti in cui stacco per un po’, anche per periodi lunghi e mi occupo solo del minimo indispensabile da un punto di vista lavorativo, e se posso farlo è solo grazie alla fiducia che ho nel mio team, so bene che anche se sparisco per un po’ i clienti sono in ottime mani, sicuramente meglio che nelle mie mani.

Quando giro programmo il meno possibile, un po’ perché mi piace vivere alla giornata, un po’ perché questo mi permette di essere flessibile. Se mi sveglio domani e c’è un problema da risolvere, l’attività che avevo programmato è solo rimandata. Alla fine l’unica cosa importante è che ci sia una connessione decente».

È davvero un modo unico di vivere la vita e gestire un’azienda. Parlando dei tuoi viaggi, è interessante notare che hai visitato paesi meno tradizionali per i nomadi digitali, come Tunisia, Marocco, Iran e Iraq. Come hai trasformato queste esperienze di viaggio in opportunità lavorative, e cosa ti ha spinto a esplorare destinazioni così diverse?

«La maggior parte delle persone con uno stile di vita da “nomade digitale” tende a scegliere i soliti posti dove vanno tutti. E capisco le motivazioni per farlo, se ci vanno tutti è perché non sono niente male, hai la possibilità di conoscere persone come te ecc… E mi piace come stile di vita. Ho fatto mesi a Gran Canaria, Chiang Mai, e altre mete ambite dai nomadi.

Ma mi piace anche l’avventura.

Nel 2016 ho comprato un 4×4 e preparato per i viaggi africani, ho fatto diverse volte Marocco e Tunisia, una volta la Mauritania e adesso sto sognando di arrivare il Mongolia a strade sterrate. Nel 2022 sono andato in Iraq e Iran in moto.

Fare questi viaggi in posti remoti placa la mia voglia di avventura. La sera prima si cercano possibili piste, e poi si prova ad andare sperando che siano praticabili senza rompere tutto e senza farsi male. E se va male si torna indietro e si prova un’altra strada. 

Di solito quando penso ad un viaggio simile faccio una settimana di viaggio e alcuni giorni fermo in qualche città con una connessione decente per rimettermi in pari con le cose da fare. Durante la settimana di viaggio sono connesso ma relego il lavoro a 2-3 ore al giorno al massimo.

Quando ero di ritorno dall’Iran in moto, dovevo chiamare un cliente in Italia, mi sono fermato nel mezzo al nulla appena ho trovato la copertura 4G e ho fatto la chiamata. Avevo una mucca a meno di due metri di distanza che continuava a muggire e stavo usando il telefono dall’interfono del casco per limitare il rumore. Quando poi ci siamo conosciuti di persona ho raccontato questa storia al cliente e ci siamo fatti delle grandi risate insieme».

Tra i paesi che hai visitato, ce n’è uno che ti ha particolarmente colpito e in cui vorresti tornare?

«Penso che questa sia la domanda più comune che mi fanno, e una a cui non ho risposta. Non c’è un paese che mi ha colpito più di tutti, ogni paese ha le sue particolarità e le sue attività.

Se domani volessi fare surf andrei a Bali, se volessi fare festa andrei in Colombia. Per i viaggi in fuoristrada il nord africa è fantastico, ma avendo la voglia di fare un viaggio lungo andrei ad est verso la mongolia. Se volessi fare trekking tornerei in Nepal. 

In realtà vorrei tornare in quasi tutti i posti in cui sono stato, e di solito è quello che faccio, a gennaio sto pensando di tornare in Asia e sicuramente farò 2-3 mesi in Thailandia, dopo averci passato quasi 2 anni è un po’ come tornare a casa».

Hai dei consigli per coloro che desiderano intraprendere una carriera da imprenditore nel settore digitale e per coloro che desiderano abbracciare uno stile di vita “nomade”?

«Qualche giorno fa ero al telefono e ho avuto una conversazione simile. Stavo parlando con una persona che lavora da remoto, ma non si sposta quasi mai. Secondo me passare da una vita “normale” ad una vita da nomade va fatta con le giuste modalità. 

Se fino ad ieri hai sempre dormito a casa e non sei mai andato in campeggio, pensare di fare 4 mesi di sterrati e dormire in tenda per arrivare in mongolia è un salto troppo grande. Il mio consiglio è stato: vai un mese in un posto dove si fa un’attività che ti piace o che potrebbe piacerti.  Ad esempio vai a gran Canaria a fare un mese di surf (ad esempio un paio d’ore al giorno). Oppure fallo a Bali.

O vai a Kalymnos o margalef a scalare per un mese. O un corso di yoga in India di un mese. Poi torna, se ti è piaciuto organizza un altro mese in un altro posto dove potresti fare un’attività che ti interessa.

Appena sei comodo, prova con 2 mesi….Non ha senso forzare le tappe, come non ha senso andare da 0 a 100 in un secondo. Secondo me è una decisione che ognuno deve prendere in autonomia, e solo se ha il desiderio di avere questo stile di vita.

Insomma, eviterei di saltare in acqua senza pensare, meglio mettere dentro prima un piede, poi arrivare al ginocchio… Inutile dire che non è tutto rose e fiori. Come dicevo prima ci sono i giorni in cui si è in un paradiso ma tocca stare in casa a lavorare, quindi alla fine è necessaria pure una certa disciplina per non lasciare niente indietro. Di certo ti lascia dietro un bagaglio di esperienze che a mio avviso è fantastico».

Hai saputo cogliere l’essenza di ogni viaggio e trasformarla, immagino, anche in un percorso di crescita personale e professionale. Adesso però quali sono i tuoi prossimi obiettivi per il futuro, sia per SupportHost sia per la tua vita da nomade digitale?

«Ci sono alcuni posti che vorrei visitare, mentre scrivo questo sono in aereo da Johannesburg verso Windhoek in Namibia. Appena una settimana in africa e già sono affascinato. Vorrei andare in mongolia in 4X4.

Visitare il Venezuela (non credo sia pericoloso come dicono), Guyana, Suriname e guayana francese. Le idee non mancano, quindi diamo tempo al tempo, prima o poi le farò tutte.

Per quanto riguarda SupportHost l’idea è di continuare a mantenere il tocco personale che ho e che abbiamo coi nostri clienti. Negli anni abbiamo mantenuto la qualità del servizio senza aumentare i costi, anzi se consideriamo l’aumento delle risorse per i piani che offriamo di fatto abbiamo diminuito i prezzi dei nostri servizi. Contiamo di riuscire ad andare contro a tutti gli aumenti generalizzati ed andare controcorrente».

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