Come sta cambiando nel 2025 il consumo dei media da parte degli utenti

Nel 2024, l’utilizzo globale dei media – digitali e tradizionali – è cresciuto del 2,4%, portando il tempo medio settimanale a 57,2 ore per persona.
Ma dietro questo dato positivo, rilevato dal recente report di PQ Media, si nasconde un’inversione di tendenza pronta a manifestarsi nel 2025: per la prima volta dal 2009, la crescita dell’utilizzo dei media sembra destinata a rallentare quasi del tutto, con un aumento previsto di appena lo 0,3%.
A cosa è dovuto questo rallentamento? È davvero un segnale di saturazione? E cosa significa, concretamente, per chi lavora nel mondo dei media, della comunicazione e del marketing?
Un 2024 “gonfiato” dagli eventi
Il dato di crescita del 2,4% per il 2024 non è da sottovalutare. Dopo anni di andamenti irregolari legati alla pandemia, il mercato sembrava aver trovato un nuovo equilibrio. Ma bisogna leggere tra le righe. Gran parte dell’incremento è stato alimentato da eventi eccezionali, come le Olimpiadi estive e un fitto calendario televisivo che ha catturato l’attenzione globale.
I cosiddetti “anni pari”, infatti, registrano storicamente un impatto più forte sui consumi mediali, grazie alla concentrazione di eventi sportivi e politici. Gli “anni dispari”, al contrario, tendono ad avere performance più piatte, e il 2025 non farà eccezione.
Secondo Leo Kivijarv, vicepresidente esecutivo di PQ Media, il segnale è chiaro: “I progressi dei media digitali non riescono più a compensare il calo strutturale dell’uso dei media tradizionali.”
Una crescita che ha (quasi) toccato il tetto
Secondo il report, nel 2024 ogni individuo ha trascorso 8,17 ore al giorno immerso nei media, un aumento rispetto alle 7,36 ore del 2019. Ma il punto è che, in mercati maturi come quello statunitense o europeo, il tempo giornaliero disponibile ha raggiunto i suoi limiti fisiologici.
Non si può consumare più media di quanto consenta la propria giornata. E questo vale soprattutto per quelle fasce demografiche – come Millennials e Gen X – già altamente connesse. La crescita può quindi derivare solo da nuove modalità, nuovi momenti di fruizione o da segmenti di popolazione finora meno coinvolti.
Dove cresce il consumo? E dove cala?
Il quadro non è uniforme. La televisione, in tutte le sue forme (broadcast, digitale, OTT), rimane il mezzo più utilizzato, con 28,07 ore settimanali per utente. La crescita più significativa si è registrata nella categoria film e home video, spinta da nuove uscite in streaming e film distribuiti direttamente online.
Ma il canale che ha registrato il maggiore incremento percentuale nel 2024 è stato il video su mobile, in crescita del 16,7%. Un dato che conferma come il consumo si stia spostando sempre più su dispositivi personali e in mobilità.
Parallelamente, però, è calato il tempo trascorso su media supportati da pubblicità: dal 55,5% del 2019 al 52,7% del 2024. Un dato che pone interrogativi sul futuro del modello pubblicitario classico, soprattutto se legato a formati invadenti o poco personalizzati.
La disillusione per il “nuovo” tecnologico
Nonostante l’attenzione per metaverso, intelligenza artificiale generativa e nuove piattaforme, non tutte le innovazioni recenti si sono tradotte in un reale aumento del consumo.
Secondo PQ Media, l’effetto “wow” che accompagnava il lancio di dispositivi come gli smartphone negli anni Duemila non si è più replicato. Le nuove tecnologie, per quanto promettenti, non stanno incidendo sulla quantità di tempo speso, né sulla qualità dell’esperienza in modo determinante.
La conseguenza? Un certo grado di saturazione tecnologica. Gli utenti non rincorrono più ogni nuova app o dispositivo. Preferiscono consolidare le proprie abitudini su pochi strumenti affidabili, e dedicare attenzione solo a ciò che porta reale valore.
I consumatori non sono più (solo) target
Un altro aspetto interessante emerso dal report riguarda la composizione del pubblico. Nonostante il calo nell’uso dei media tradizionali, questi canali continuano ad avere una copertura più ampia rispetto a molti formati digitali di tendenza.
È un dato che i professionisti della comunicazione dovrebbero considerare con attenzione. Formati come il content marketing o l’influencer marketing, seppur in crescita, non garantiscono necessariamente un pubblico ampio o diversificato. La frammentazione è elevata, e il rischio di parlare sempre agli stessi è concreto.
Il pubblico, oggi, non va più solo “raggiunto”. Va coinvolto con contenuti rilevanti, dove la fiducia e l’autenticità sono diventate valute preziose.
Pubblico sì, ma a che prezzo?
La ricerca mostra anche un aumento delle preoccupazioni legate al costo della fruizione. Con l’aumento generale dei prezzi e la crisi del potere d’acquisto in molte aree del mondo, i consumatori iniziano a selezionare con maggiore attenzione dove investire il proprio tempo (e i propri soldi).
Un esempio? L’abbonamento medio a una piattaforma streaming è diventato più costoso, e molte famiglie iniziano a disiscriversi da servizi ritenuti meno essenziali. Il cosiddetto fenomeno del “subscription fatigue” è reale.
Allo stesso tempo, si diffonde la richiesta di un rapporto più trasparente e meno invasivo tra contenuto e pubblicità. Un equilibrio difficile da raggiungere, ma fondamentale per mantenere la fiducia del pubblico.
Il ruolo delle aziende nel contesto attuale
Per i brand e le aziende, questi dati raccontano qualcosa di molto chiaro: la partita si gioca oggi sulla rilevanza, non più solo sulla presenza.
Essere ovunque, su tutti i canali, non è più efficace se non si è capaci di offrire esperienze che abbiano un senso per l’utente.
La personalizzazione dei messaggi, il rispetto dei tempi e delle modalità di fruizione, la qualità dell’offerta: sono questi gli elementi che oggi distinguono un contenuto che viene accolto da uno che viene ignorato.
E i brand che sapranno ascoltare questi segnali saranno quelli in grado non solo di mantenere, ma di costruire relazioni solide con il pubblico.
Meno hype, più profondità
Il 2024 è stato un anno di apparente crescita, ma il 2025 porterà alla luce un cambiamento più strutturale: il consumo dei media ha probabilmente raggiunto una soglia critica.
Non si tratta di un crollo, ma di una maturazione. I consumatori non cercano più solo novità, ma significato. Non cliccano più per abitudine, ma per scelta.
Per chi opera nel settore, è il momento di abbandonare la logica del “più è meglio” e iniziare a ragionare in termini di qualità, utilità e impatto. Perché il tempo dell’utente è prezioso e conquistarlo non è questione di algoritmo, ma di fiducia.