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Oltre il Bel Paese: gli articoli 164 e 167 del TFUE  indicano la via per vivere l’Europa

Oltre il Bel Paese: gli articoli 164 e 167 del TFUE  indicano la via per vivere l’Europa
  • PublishedAprile 19, 2025

Formazione, cultura e spirito europeo: una lettura consapevole del progetto UE

L’idea che l’Unione Europea sia soltanto burocrazia, vincoli o regolamenti calati dall’alto è ancora troppo diffusa, soprattutto in Italia. Eppure, basta leggere con attenzione i Trattati che regolano la nostra appartenenza all’Unione per scoprire un progetto ambizioso, profondamente umano, che ha al centro le persone e il loro sviluppo, a partire dai giovani. Due articoli in particolare — il 164 e il 167 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) — raccontano un’Europa che vuole educare, formare, connettere e ispirare.

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Il valore della formazione per un’Europa del lavoro e delle persone

L’articolo 164 TFUE è dedicato alla formazione professionale, intesa come strumento di crescita e adattamento continuo. In un mondo che cambia rapidamente, l’Unione Europea promuove un’idea di formazione non limitata alle competenze tecniche, ma orientata anche all’inclusione, alla mobilità, all’integrazione tra scuola e impresa.

«L’Unione contribuisce allo sviluppo di una formazione professionale di qualità, iniziale e permanente» (Art. 164, comma 1)

Questa frase basta da sola a spiegare quanto il focus sia centrato sulla persona lungo tutto l’arco della vita. La formazione non è vista come un passaggio obbligato per trovare un impiego, ma come un processo continuo di crescita, in grado di accompagnare i cittadini attraverso le transizioni professionali, i cambiamenti industriali e i mutamenti sociali.

«Facilitare l’accesso alla formazione professionale e favorire la mobilità dei formatori e dei discenti, in particolare dei giovani» (Art. 164, comma 2, lettera c)

Questa parte dell’articolo parla chiaramente di mobilità, una delle parole chiave del progetto europeo. Mobilità non solo geografica, ma anche culturale e mentale. Ed è qui che emerge un nodo culturale tutto italiano.

Il “complesso del Bel Paese” e la chiusura al resto d’Europa

Noi italiani siamo cresciuti con l’idea del “Bel Paese”, e giustamente andiamo fieri delle nostre bellezze naturali, artistiche e culturali. Ma troppo spesso questa fierezza si è trasformata in autosufficienza, e a volte persino in miopia. Abbiamo pensato che nulla potesse competere con il nostro patrimonio, che nessun modello educativo potesse offrire di più, che la nostra cucina, la nostra arte, il nostro stile di vita fossero il meglio e il resto potesse solo imitarci.

E invece, girando per l’Europa, ci si accorge che la bellezza si declina in mille forme, e che ogni Paese ha qualcosa da insegnare: dalla precisione tedesca all’efficienza olandese, dall’innovazione scandinava alla resilienza portoghese. L’Unione Europea non ci chiede di rinunciare alla nostra identità, ma di arricchirla nel dialogo con le altre.

La cultura come terreno comune

L’articolo 167 TFUE è uno dei più interessanti e sottovalutati dell’intero trattato. Esso proclama che:

«L’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali» (Art. 167, comma 1)

In altre parole, l’Europa valorizza le differenze. Non esiste un modello culturale unico da imporre, ma una rete di storie, lingue, patrimoni, sensibilità che si intrecciano per creare un’identità comune fondata sul rispetto, sulla conoscenza e sulla cooperazione anche delle minoranze etniche ed includerei quelle religiose.

Non è un caso che tra gli obiettivi dell’azione europea ci siano:

«Il miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei»
e
«gli scambi culturali non commerciali» (Art. 167, comma 2)

Questo significa che il progetto europeo non si esaurisce nel mercato o nella moneta unica. Al centro ci sono i legami tra i cittadini, costruiti attraverso programmi formativi come Erasmus+, Corpo Europeo di Solidarietà, Creative Europe, che hanno permesso a milioni di giovani (e non solo) di aprirsi al mondo, di scoprire nuove competenze e — soprattutto — nuovi modi di essere.

Competenze, attitudini, relazioni: la nuova formazione europea

Gli articoli 164 e 167, letti insieme, delineano una visione potente: un’Europa che investe non solo nella formazione tecnica, ma anche nello sviluppo delle attitudini personali, dell’intelligenza emotiva, del pensiero critico, della collaborazione tra culture.

Questo approccio si riflette in molti progetti educativi europei contemporanei, che puntano non solo a “insegnare un mestiere”, ma a educare cittadini consapevoli, solidali, capaci di agire nel mondo globale. Le aziende moderne — quelle che davvero mettono le persone al centro — cercano questo tipo di profili: formati sì, ma anche curiosi, aperti, flessibili, orientati all’ascolto e all’azione.

Aprire la mente, per davvero

La lezione che possiamo trarre da questi articoli è semplice e potente: l’Europa non è solo una struttura giuridica, ma una comunità educativa e culturale. Per farne parte pienamente, dobbiamo superare i confini della nostra mentalità, abbandonare le paure e le nostalgie, e iniziare a vedere negli altri non dei concorrenti, ma dei partner, dei compagni di strada. I giovani vanno a studiare all’estero e non disdegnano altre nazioni per dare inizio alla loro carriera lavorativa viste le numerose opportunità.

Aprirsi all’Europa significa aprire la mente. E oggi, più che mai, questo è un gesto rivoluzionario.

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