L’identità digitale è diventata un’estensione concreta della nostra presenza professionale, il concetto di personal branding non è più una scelta, ma una necessità per chi desidera distinguersi e farsi scegliere. Per comprendere come costruire una presenza autentica, credibile e strategica, abbiamo incontrato Enrica Ferrero, consulente di branding e formatrice con una lunga esperienza nel guidare aziende, liberi professionisti e istituzioni nel delicato equilibrio tra visibilità e coerenza identitaria.
Dalle dinamiche della comunicazione online alla gestione delle emozioni legate all’esposizione pubblica, Enrica ci accompagna in un percorso chiaro e consapevole su cosa significhi oggi lavorare sul proprio brand personale, con esempi concreti, strumenti pratici e una visione lucida sul ruolo dell’intelligenza artificiale nel futuro della comunicazione.
In questa intervista, a metà tra riflessione e guida operativa, scopriamo perché non si fa branding per diventare famosi, ma per essere riconosciuti per ciò che siamo davvero.
Ciao Enrica, grazie per averci concesso questa intervista. Sei una professionista del branding, per questo motivo volevo chiederti, sulla base della tua esperienza, come e perché il personal branding è così rilevante per aziende e professionisti?
«Ciao Silvia, grazie a te e a tutto il team di Intervista per questa opportunità. Il personal branding permette a professionisti e aziende di differenziarsi in un mercato affollato e competitivo. Costruire la propria identità online aiuta a creare fiducia, attrarre le giuste opportunità e a comunicare il nostro valore in modo più chiaro ed efficace.
Quindi, investire nel proprio brand personale significa lavorare sulle caratteristiche umane e professionali che ci rendono unici, riconoscibili e memorabili. Non facciamo branding per diventare famosi, facciamo branding per essere scelti.
I leader aziendali con un personal brand solido contribuiscono a rafforzarne la credibilità, mentre per i professionisti è la strategia migliore per distinguersi dai concorrenti e costruire relazioni autentiche con i propri interlocutori».
Lo studio e la conoscenza del target sono necessari in qualsiasi strategia di branding e di marketing. Secondo te quali sono gli errori più comuni nella definizione del pubblico di riferimento?
«Uno degli errori più comuni è definire un pubblico troppo ampio cercando di parlare a tutti senza una chiara direzione. Questo rende la comunicazione generica e poco efficace.
Nella definizione della strategia si dedicano decine di ore alla palette colore migliore o al design più performante per il sito e le creatività per i social. Se le diverse business unit lavorano a compartimenti stagni, capita che condividano o si interroghino davvero su cosa cerca il target, anziché l’azienda, in una fase ormai troppo avanzata.
Un altro errore quindi è basarsi su supposizioni invece che su dati concreti.
Spesso si crede di conoscere il pubblico di riferimento senza approfondirne realmente bisogni, comportamenti e preferenze. In questo caso ci possono venire in aiuto ricerche e indagini di mercato primarie (realizzate a diretto contatto con le persone) e secondarie (derivate da strumenti di analisi, dagli insights e dalle ricerche di settore).
Diverse aziende e professionisti poi, non aggiornano i loro target nel tempo. Il mercato cambia, così come le esigenze del pubblico: è fondamentale rivedere periodicamente la propria strategia per mantenere il migliore posizionamento».
Come si può bilanciare l’autenticità personale con la necessità di parlare a un pubblico specifico? C’è un metodo che consigli per allineare identità e strategia?
«Bilanciare autenticità e target significa trovare il punto d’incontro tra ciò che si è e ciò che il pubblico cerca. Identificare un segmento di pubblico specifico può fornirci gli elementi necessari per decidere quali e quanti compromessi siamo disposti ad accettare per svolgere al meglio la nostra attività professionale.
Un metodo efficace per farlo è il modello dei tre cerchi di John Adair, che considera:
Analizzando questi tre aspetti, possiamo definire un personal brand autentico ma anche efficace, senza snaturarsi per piacere o accontentare gli altri. Personalmente ho scelto di escludere dai miei servizi di consulenza partiti o esponenti politici, aziende che operano nel mercato del tabacco e del gioco d’azzardo».
Nel tuo lavoro, offri sia consulenze individuali che corsi di formazione su piattaforme online, come Studio Samo Pro. Quali sono le principali differenze nell’approccio al personal branding in questi contesti?
«Nelle attività di mentoring one-to-one e negli eventi live (anche online) l’interazione con gli interlocutori è diretta e c’è uno scambio attivo tra le parti. Se invece parliamo di academy online che offrono formazione pre-registrata, questi aspetti sono assenti».
Il mio approccio cambia in base al livello di personalizzazione richiesta.
«Consulenze e attività di mentoring mi permettono di offrire strategie su misura: analizzo il profilo del cliente, i suoi obiettivi e il suo pubblico per creare un piano specifico e personalizzato. Come detto sopra, il supporto prevede un confronto continuo.
Nei corsi di formazione frontale (online e offline) fornisco invece linee guida, strumenti e best practice applicabili a diverse situazioni, lasciando ai partecipanti la libertà di adattare i concetti alla propria realtà.
Ritengo adatto l’approccio in entrambi i contesti. Dovendo scegliere suggerirei di valutare con cura necessità (es. urgenti o pratiche) e reali obiettivi di business».
Molti pensano che il personal branding sia qualcosa solo per freelance e imprenditori. In realtà, anche chi lavora in azienda o nel mondo accademico dovrebbe preoccuparsi della propria immagine professionale. Quali consigli daresti a queste categorie?
«Posso dirti per esperienza che alcune categorie di lavoratori sono più a disagio di altre nell’esprimere le proprie opinioni, dare suggerimenti professionali e gestire una presenza pubblica, tanto online quanto offline. Come detto in apertura tuttavia, non facciamo branding per diventare famosi, ma per essere scelti.
Questi sono consigli adatti per chi lavora in azienda o nel mondo accademico:
L’intelligenza artificiale sta trasformando il marketing e la comunicazione. Quale ruolo vedi per l’IA nelle strategie di personal branding e nella costruzione dell’identità online?
«Nel momento in cui ti rispondo diversi virtual influencer generati con IA sono in fase di test, per segmenti di pubblico specifici. Una di loro è Zoe De Biasi, la prima fitness brand ambassador creata per le palestre McFIT in Italia.
La tecnologia sta diventando un alleato prezioso soprattutto per ottimizzare e razionalizzare il tempo dedicato ad azioni ripetitive. L’importante è usarla in modo consapevole, mantenendo autenticità e controllo sul proprio messaggio.
Marco Montemagno ha costruito il suo personal brand negli anni, partendo dal mondo del digitale e dell’innovazione utilizzando strategicamente contenuti video, social media e tecnologie avanzate. Oggi sfrutta strumenti di analisi dati e IA per ottimizzare la distribuzione dei suoi contenuti, capire cosa interessa maggiormente al suo pubblico e adattare la comunicazione di conseguenza.
Il suo approccio dimostra come sia possibile combinare autenticità e strategia, trasformando la propria identità professionale in un vero e proprio asset di business».
Se guardiamo al digital marketing più in generale, in che modo una conoscenza approfondita del proprio target può migliorare la creazione di contenuti e l’efficacia delle campagne?
«In sintesi, più conosci il tuo pubblico, più la tua comunicazione sarà efficace e impattante.
La personalizzazione è uno dei fattori chiave per il successo di una strategia di digital marketing. Quando conosci a fondo il tuo target, puoi creare contenuti e campagne su misura, aumentandone la rilevanza e l’engagement. Ecco qualche spunto:
Ogni target corrisponde ad abitudini diverse, quindi conoscere il pubblico aiuta a selezionare i canali più efficaci per comunicare il messaggio.
Per professionisti e aziende, LinkedIn è spesso la scelta più adatta. Se il target è composto da giovani, TikTok e Instagram potrebbero essere le piattaforme migliori. Un pubblico che preferisce video brevi interagirà con Shorts o Reels, mentre chi cerca approfondimenti apprezzerà blog, newsletter o podcast.
La personalizzazione e la scelta dei canali giusti permettono di massimizzare l’efficacia della comunicazione, aumentando coinvolgimento e conversioni. Monitorare dati e feedback consente inoltre di adattare le strategie per migliorare i risultati: un e-commerce potrebbe decidere di combinare email marketing, social media e chatbot per offrire al proprio cliente tipo un percorso d’acquisto più fluido».
Hai lavorato con diverse realtà, dalle università agli eventi nel settore privato. Quali sono le principali differenze nella comunicazione tra un professionista, un brand e un’istituzione culturale?
«Le differenze principali riguardano tono, obiettivi e strategie: mentre il professionista punta sull’autenticità, il brand lavora su identità e fidelizzazione e l’istituzione culturale si concentra su divulgazione e autorevolezza.
Un professionista tenderà a posizionarsi come esperto nel proprio settore e instaurare un rapporto diretto e di fiducia con il pubblico, trasmettendo non solo competenza, ma anche valori e personalità. In questo caso, la narrazione si concentra sul racconto della propria esperienza e sui risultati ottenuti. L’obiettivo principale è costruire credibilità, facendo leva sul personal branding e sullo storytelling.
Alberto Angela rappresenta un esempio emblematico di come un professionista possa incarnare le caratteristiche tipiche di un’istituzione culturale nella sua comunicazione. Il suo stile è caratterizzato da un linguaggio accessibile e coinvolgente, che rende comprensibili anche i concetti più complessi, avvicinando il grande pubblico a temi scientifici e storici. La sua capacità di trasformare la conoscenza specialistica in racconti vividi e stimolanti cattura l’interesse di spettatori di tutte le età e background».
Per chi vuole iniziare a costruire il proprio brand personale oggi, quali sono le prime tre azioni concrete che consiglieresti?
«Innanzitutto riflettere a fondo su chi sei e cosa vuoi trasmettere. Questo significa fare un’analisi dei propri valori, competenze e obiettivi, un esercizio che può comprendere anche una matrice SWOT per definire in modo chiaro identità e posizionamento rispetto al mercato e ai concorrenti. È poi fondamentale costruire una presenza online solida.
Ciò implica la creazione o l’ottimizzazione di un sito web personale e dei profili sui social network più rilevanti, secondo le riflessioni condivise sopra sul tuo target, in modo da avere uno spazio digitale coerente e professionale in cui esprimerti.
Infine, di iniziare a produrre e condividere contenuti di valore. Che si tratti di articoli, video o post sui social, comunica regolarmente le tue esperienze, idee e competenze per farti conoscere, costruire autorevolezza e instaurare relazioni con il tuo pubblico di riferimento».
Per concludere, ci sono libri, risorse o strumenti che consiglieresti a chi vuole approfondire il tema del personal branding e migliorare la propria presenza digitale?
«In Italia, Luigi Centenaro è stato il pioniere del branding personale e aziendale: sul fronte dei libri consiglierei quindi “Personal branding. Promuovere se stessi online per creare nuove opportunità” e “Digital you. Fai carriera con il personal branding online” che spiegano come trasformare la propria persona in un marchio autentico e riconoscibile. Luigi è anche il creatore del Personal Branding Canvas uno strumento visuale che aiuta a pianificare e sviluppare la propria immagine professionale».